L'angolo dello scrittore

Fisici – Precursori, fantasiosi o immorali

Nova, 22 marzo 2011 di Roberto Vacca

I multiversi sono stati definiti come ipotetici insiemi di universi multipli coesistenti in diverse dimensioni dello spazio o a distanze enormi gli uni dagli altri. Ciascuno avrebbe, come il nostro, tre dimensioni spaziali (o forse di più) e una temporale. Sebbene noti fisici con ottime credenziali (Hawking, Bekenstein, Susskind) li considerino possibili e interessanti, non sono osservabili. Dunque non avrebbe senso parlarne, se non fosse in corso un’accesa polemica. Il serio giornalista scientifico John Horgan sostiene su Scientific American che quei fisici famosi sono immorali se perdono tempo a teorizzare su multiversi e stringhe. Queste sarebbero entità piccolissime (10-35 metri): a una dimensione, cento miliardi di miliardi di volte più piccole di un nucleo atomico. Neanche loro sono osservabili, ma taluno – ardito – sostiene che con la teoria delle stringhe si dimostra che i multiversi sono reali e che il nostro mondo ne è solo una proiezione olografica. Molti fisici (fra cui alcuni Nobel) dissentono: quella teoria non ha basi sperimentali. Altri fisici affermano di aver trovato basi inoppugnabili alla teoria. Fra questi c’è anche Edward Witten della Cornell University, che secondo alcuni (ma non secondo altri) è il più grande fisico vivente.

Horgan critica duramente il fisico Brian Greene, che ha appena pubblicato sull’argomento The Hidden Reality: Parallel Universes and the Deep Laws of the Cosmos, Knopf, 2011 (La realtà nascosta: Universi paralleli e le profonde leggi del cosmo). Una teoria dei multiversi fu esposta già nel 1957 da Hugh Everett. Un elettrone ha una probabilità p di emettere un fotone e una probabilità (1-p) di non emetterlo, ma un evento non escluderebbe l’altro: se nel nostro universo lo emette, subito si creerebbe un universo alternativo in cui non lo emette. Ogni processo subatomico soggetto alla elettrodinamica quantistica avrebbe l’effetto di sdoppiare l’universo – ne esisterebbero, quindi, moltissimi paralleli e poi in ciascuno avverrebbero cose diverse. L’elettrodinamica quantistica insegna che su scala subatomica la nostra logica non vale (ad esempio un effetto si può presentare prima della causa che lo produce), però, non nega il principio di non contraddizione. Un evento o si verifica o non si verifica – tertium non datur. Ma COME conosciamo i fatti?

La conoscenza del mondo fisico si basa su osservazioni di eventi e su deduzioni logico-sperimentali di regolarità o leggi. Conoscendole extrapoliamo da condizioni iniziali la traiettoria di un corpo macroscopico e ne prevediamo posizioni e velocità future. È un processo deterministico: ci permette, ad esempio, di calcolare esattamente il percorso di un’astronave. Non sono deterministici, ma probabilistici, i processi influenzati da moltissimi fattori non perfettamente noti o in cui le condizioni iniziali sono mal note oppure in cui gli oggetti considerati sono subatomici. Il principio di indeterminazione di Heisenberg stabilisce che, se una particella si muove lungo un asse x a velocità V, possiamo determinarne la posizione con una accuratezza Dx e la velocità con una accuratezza  DV, ma il prodotto  Dx.DV  è sempre maggiore della costante di Planck  h  (6,626076  10-34  kg.m2/sec). Dunque: tanto maggiore è la precisione con cui conosciamo la posizione, tanto minore è quella con cui conosciamo la velocità e viceversa.

La elettrodinamica quantistica in base a relazioni matematiche probabilistiche permette di prevedere i risultati di esperimenti ancora non effettuati con la precisione di una parte su 100 miliardi. Non consente, però, di prevedere eventuali effetti di fenomeni subatomici su oggetti macroscopici e certo non sull’intero universo. Queste teorie non possono essere confermate, né falsificate dall’esperienza: vanno considerate come “vaccinate”, cioè non dibattibili, nè interessanti.

Taluno cerca di difenderle sostenendo che altre entità fisiche sono state immaginate da fisici teorici e poi osservate e confermate solo anni dopo. Non è così. Fermi definì nel 1934 la particella che chiamò neutrino, la cui emissione avrebbe spiegato il modo in cui un neutrone decade producendo un protone e un elettrone – e i neutrini furono osservati da F. Reines nel 1958. Abdus Salam definì nel 1968 i bosoni W+, W e Z che mediano la forza  nucleare debole – e furono osservati da Rubbia nel 1983. Questi quattro scienziati hanno avuto il Nobel per aver definito in dettaglio le caratteristiche di oggetti che, soli, potevano spiegare osservazioni accurate di processi complessi e, poi, per averli osservati e misurati. Dubito che Everett e Witten conseguiranno grande fama per multiversi e stringhe che non spiegano processi prima oscuri e moltiplicano gli enti senza necessità. Non appassionano, quindi, le fantasie su 3 tipi di multiversi separati gli uni dagli altri oppure spiaccicati gli uni sugli altri creando big bang oppure che producano paesaggi creando altre dimensioni spaziali. Come scrisse Feynman:”Abbiamo bisogno dell’immaginazione, ma costretta in una terribile camicia di forza”. Curioso che nella pagina precedente di The Character of Physical Law, Feynman dicesse: “.. c’è un solo mondo …”

Greene arguisce anche: se l’universo è infinito deve contenere copie del nostro sistema solare, della Terra, di noi stessi che differiscano fra loro solo per qualche dettaglio. Lascia freddi questa ipotesi: se queste copie esistono a centinaia di miliardi di anni luce da noi non possiamo saperlo e non ci fa differenza. Greene azzarda che il concetto di realtà parallele è integrato nello zeitgeist, lo spirito della nostra epoca. Emerge, quindi, nelle menti di scienziati illuminati e anche di artisti e di scrittori di fantascienza. Anch’io scrivo fantascienza, ma tengo quelle mie immaginazioni ben separate dai contenuti dei miei saggi e lavori scientifici.